Gli alpeggi
Il "Calècc"
Il Calècc è una tipica baita di lavorazione itinerante, una costruzione in pietra fissa coperta da un telo mobile, usata per la produzione di formaggio Bitto.
Presente unicamente nelle valli del Bitto, rappresenta un patrimonio storico, culturale e ambientale esclusivo, in quanto costruito per ottimizzare la qualità del prodotto.
Le condizioni base per ottenere una produzione casearia di maggiore qualità sono le seguenti:
1. trasformare immediatamente il latte senza sbatterlo e senza farlo raffreddare;
2. non stancare la vacca onde ottenere un latte più concentrato.
Le vacche pascolano nelle vicinanze di questa baita ed il latte appena munto viene immediatamente lavorato. Esaurita l'erba si raccoglie il telo del Calècc e ci si sposta verso la prossima struttura di pietra, certi di aver concimato perfettamente il pascolo e di aver lasciato la cotica erbosa nelle migliori condizioni per l'anno successivo. Piccoli particolari che hanno permesso al Bitto di rappresentare una delle massime espressioni del lavoro contadino in montagna.
"Capita talvolta al cittadino, in gita sulle montagne delle Prealpi Orobiche, di trovare nel mezzo di un prato una sorta di residuo o rovina di capanna, formato da quattro muri a secco, poco più alti di un metro e intorno qualche palo di legno, abbandonato sulle pietre. Quasi sempre, guarda distratto, non capisce, e tira innanzi. Ha incontrato un residuo di storia antichissima, ancora viva peraltro, e non ha provato neanche una piccola emozione. Perché quelle pietre non sono una capanna semi-distrutta, ma un "calècc", ossia costituiscono il centro di una stazione dell'alpeggio estivo delle mandrie. Su di esse, gli alpeggiatori pongono un telone e sotto mettono la caldaia e dispongono il focolare per produrre il formaggio. Nel "calècc" gli uomini mangiano e riposano durante la notte. Intorno, le vacche e le capre consumano le aromatiche erbe dei prati. Il "calècc" vive per qualche giorno, finché il pascolo è tutto esaurito e poi viene abbandonato per un altro, mentre il formaggio viene portato alla "casera", una capanna solida, grande, coperta, dove si conserva su assi di larice per tutta la durata della stagione di alpeggio, quasi tre mesi. Vicino alla "casera", in genere, c'è la baita che è il vero ricovero degli alpeggiatori e, spesso, anche dei famigliari (mogli e figli), anche questa costruita della grigia pietra locale."
Cosa c'è di straordinario in tutto questo?
Ebbene, quel modo di allevare il bestiame, di trasformare il latte in formaggio e di stagionare poi il formaggio, e la vita di quelli che svolgono ancora quasta attività, riproduce modelli che si ripetono da tempi immemorabili. Secondo alcuni storici, furono i clan celtici, cacciati dai Romani dalla Pianura Padana, a dare inizio all'allevamento bovino nelle vallate delle Prealpi Orobiche. Essi si trovarono, in vallate chiuse, con risorse produttive modeste e dovettero risolvere un problema difficilissimo di equilibrio tra risorse e popolazione. Come sfruttare al massimo le produzioni di erba delle zone alte? Solo il bestiame bovino e caprino poteva dare una risposta. Ma era una risposta parziale, perché nasceva il problema di trasformare in un cibo serbevole la produzione di latte ottenuta nelle zone alte, dove la popolazione non poteva certo spostarsi al seguito delle mandrie. I celti, peraltro, erano esperti di magia e tra le pratiche antiche e misteriose conoscevano l'uso del "caglio", ottenuto dagli stomaci di capretti o agnelli. Ecco, allora, l'aggiunta del caglio al latte e, contemporaneamente per togliere la parte acquosa, la cottura. La massa solida ottenuta, il formaggio fresco, veniva poi messo in forme e cominciava il ciclo delle fermentazioni che lentamente lo avrebbero trasformato in un prodotto igienicamente sicuro, di altissima digeribilità, di grande valore alimentare. La messa a punto di quella meravigliosa "bomba alimentare", che è giunta fino a noi quasi immutata, il "Bitto", dovette prendere un tempo molto lungo e richiedere infiniti, pazienti, tentativi. Si può anzi immaginare che ad essi abbiano presieduto i sacerdoti di quell'antico popolo, quei misteriosi "druidi" di cui si è perduta la memoria. Per questo, è possibile che il "calècc" fosse anche luogo di rito, un ambiente sacro dove quegli antichi uomini facevano gesti di cui loro stessi non capivano il significato, ma che mettevano in moto quel meraviglioso meccanismo delle fermentazioni che forse era attribuito alle forze oscure di un dio invisibile, ma presente e potente.
Con la creazione del formaggio "a lunga conservazione" il problema del trasferimento del prodotto nel tempo e nello spazio fu risolto e fu possibile stabilire cicli produttivi che, di anno in anno, si potevano ripetere uguali, a dimostrazione di un equilibrio raggiunto tra sfruttamento delle risorse naturali e ricostituzione spontanea delle stesse. Nell'inverno il bestiame veniva tenuto nelle stalle dei villaggi, posti nel fondo valle, e alimentato con il foraggio ottenuto sulla media costa (primo sfalcio primaverile). Di contro, le terre basse erano coltivate a cereali ed ortaggi per l'alimentazione diretta delle popolazioni. Con l'arrivo della bella stagione, le mandrie, con i vitellini già abbastanza cresciuti per seguire le madri, cominciavano a salire verso i pascoli alti, dove trascorrevano l'estate. In settembre, con i primi freddi, tornavano a valle e, insieme a loro, tornavano gli alpeggiatori con il formaggio.
Il cittadino, in gita sulle Prealpi Orobiche, può naturalmente disinteressarsi della storia dei luoghi, ma certo ne perde una grande parte del fascino. Inoltre, può darsi che la conoscenza gli faccia riscoprire proprie radici, sepolte dalla polvere del tempo. Per questo, chi cerca di recuperare le tradizioni di queste magnifiche vallate alpine o di diffondere la storia che in esse ha trovato compimento, come gli autori del presente volume, fa opera meritoria ed utile. L'uomo d'oggi, proiettato verso una civiltà nuova, ha necessità dell'uomo antico, per conservare il senso della continuità, per comprendere a fondo i valori positivi del presente, per mantenere un equilibrio psichico che il mutamento continuo può minacciare, per apprezzare di più, e in modo intellettualmente elevato, le bellezze che natura e passato mettono a disposizione.
Visitare gli alpeggi...
Come quelli della Valtellina in generale, sono denominati in italiano "alpi", nellla parlata locale, però, sono sempre stati denominati "muunt". Gli alpeggi attivi, in relazione a dati del 1903, risultano quasi inalterati.
Mentre altrove (in provincia di Sondrio e nelle Alpi lombarde in generale) prevalgono la proprietà comunale o la proprietà "sociale" indivisa, nella Valgerola, pur essendo presenti diverse proprietà comunali e alcune proprietà indivise con numerosi soci comproprietari, la forma prevalente è la proprietà privata individuale o di un numero limitato di comproprietari.
I pascoli delle Valli del Bitto si trovano compresi fra i 1500 e i 2000 m. Solo Stavello si stacca dalla media, un alpeggio ad alta quota con pascoli al di sopra dei 2000 m
Tra gli investimenti di tempo e fatica profusi nel miglioramento dei pascoli vanno senz'altro citati gli spietramenti. Ogni pietra o ciottolo raccolto corrispondeva a qualche ciuffo d'erba in più per gli animali. La diligente opera di spietramento doveva essere spesso rinnovato per via delle cadute di sassi dai versanti soprastanti il pascolo, dallo spargimento di materiale ad opera delle slavine e delle esondazioni dei torrenti. Con le pietre raccolte si sono edificate le baite, ma anche tante altre strutture che connotano in modo specifico il paesaggio dell'alpeggio.
Il Bàrech rappresenta una struttura primordiale consistente in un recinto di muriccia a secco realizzato in origine presso capanne o ripari sotto la roccia. Tali recinti facilitavano la sorveglianza del bestiame e ne evitavano la dispersione in caso di temporali. Hanno anche la funzione di favorire l'"ingrasso" delle aree migliori che sono intensamente utilizzate.
Il Calecc', raffigurato nel simbolo dell'Ecomuseo, è assunto ad emblema dell'alpicoltura della Vagerola, basata sulla "caseificazione itinerante". E' una semplice capanna costituita da un muretto a secco senza copertura fissa. La copertura è costituita da un telone impermeabile sorretto da pertiche e opportunamente ancorato mediante delle corde alla muratura. All'interno del calecc', in un angolo, si trova il focolare con il supporto girevole per la caldaia del latte. In un altro angolo il paièr (giaciglio dei pastori), realizzato con una rozza intelaiatura in tronchi e un assito grezzo. Nel calecc' vi sono anche lo spersoio dove vengono appoggiate, per lo spurgo del siero, le forme di bitto e i garocc' per la maschèrpa. Non manca mai lo scrìgn (bauletto in legno) con gli effetti personali e le scorte di cibo dei pastori.
La Casera non era mai utilizzata per la lavorazione del latte, ma solo per la conservazione dei latticini. La casera tipica della zona è su due livelli: quello inferiore, seminterrato, garantisce un ambiente e temperatura bassa e umidità elevata e costante, idoneo per la stagionatura del Bitto. Il livello superiore (sotto tetto), invece, presentava numerose aperture su più lati atte a favorire il ricambio dell'aria. Questo locale era destinato a mascherpèra, ovvero alla stagionatura delle maschèrpe che richiede un ambiente ben ventilato. La casera era il fabbricato meglio costruito, con spesse pareti in muratura a calce, ed era dotato di spesse porte e di inferriate alle aperture per proteggere il prezioso contenuto.
Nel territorio di Gerola Alta, nell'ambito delle attività legate al centro visitatori "La casa del tempo", si sviluppano due sentieri tematici che interessano anche gli alpeggi il "Sentiero della memoria" e il "Sentiero del sesto senso dell'Homo Salvadego" Il primo - che interessa l'alpe Trona - è attrezzato con picchetti segnaletici numerati che rimandano alle schede di un "kit didattico" disponibile presso l'''Ufficio informazioni turistiche Pro Loco" di Gerola Alta e ha interesse storico, geologico, naturalistico; il secondo è dotato di pannelli informativi interattivi e interessa alcune stazioni dell'alpe Tronella. Presso diversi alpeggi vi sono dei rifugi che rappresentano, in alcuni casi, anche dei punti tappa della GVO (Grande Via delle Orobie): "Legnone" (alpe Legnone), "Bar Bianco" (alpe Culino), "Trona" (alpe Trona Soliva), "Salmurano" (alpe Pescegallo Foppe), "alpe Lago" e "alpe Piazzo".
La vocazione delle nostre valli per il turismo escursionistico, in ragione della conformazione orografica e della estesa rete sentieristica, la rinomanza del formaggio Bitto, i numerosi aspetti di interesse storico, etnografici e naturaiistici rappresentano altrettanti elementi in grado di favorire una maggiore integrazione tra la tradizionale attività di alpeggio (con i suoi aspetti zootecnici e caseari) e quella turistica, nelle sue varie componenti escursionistica, gastronomica, educativa.