Estrazione e lavorazione del ferro

Quasi certamente fin dai tempi più antichi anche l'alta Valle del Bitto ha fatto parte di quell'ampio comprensorio bresciano, bergamasco e valtellinese, dove si è sviluppata una fiorente attività di estrazione e di lavorazione del ferro.Nel territorio comunale di Gerola i resti delle miniere e dei forni d'alta quota comprendono due zone ben distinte: la conca di Pescegallo e l'area di Trona-Lago Inferno.
L'area mineraria di Pescegallo è di piccole dimensioni, in quanto occupa solo la stretta conca a Sud del lago omonimo, circondata dalle vette rocciose, oggi sulle cartine indicate come gruppo del Ponteranica, ma che, nella toponomastica di Gerola, hanno sempre avuto il significativo nome di Ferèri,cioè Ferriere. 
Nell'area di Trona e Lago Inferno, invece, la zona delle miniere e dei relativi forni è molto più estesa ed è strettamente collegata, sia geologicamente, sia storicamente, a quella del versante opposto di Val Varrone, dove in passato ha attinto il ferro un centro fiorente per l'attività metallurgica come Premana. L'area occupa, grosso modo, un quadrilatero che ha come suoi vertici la diga del Lago Inferno (m. 2085) a Sud, la bocchetta di Trona ad Ovest, il Lago di Trona (m. 1805) a Est e la casera dell'alpe Trona Vaga (m. 1830) a Nord. Sono presenti una quarantina di forni ed una ventina di edifici. La grandezza dei forni è varia; quelli in prossimità del Lago Inferno hanno diametro e profondità di circa due metri; gli altri hanno misure che variano dai 60 ai 120 cm. Gli edifici sono costituiti solamente dai muri perimetrali; la loro superficie è molto limitata, in quanto non superano i tre metri di lato. 
È invece più difficile calcolare il numero delle miniere, perché si tratta di scavi che a volte sono grandi e profondi, a volte sono costituiti da semplici "assaggi", che entrano nella roccia per pochi centimetri. 
Le conformazioni rocciose di questa zona costituiscono il punto di incontro tra il verrucano e il collio e proprio nelle fratture di queste due componenti si sono inserite le vene di siderite, una roccia nera e lucente, spesso mescolata a quarzite. Per questo motivo le miniere hanno una disposizione allineata e sono quasi tutte costituite da scavi a cielo aperto per seguire le "vene" del minerale. Solo in alcuni casi si è ricorsi alle gallerie.
L'attività di estrazione è ben documentata a partire dal Trecento ed è proseguita fino al Settecento, quando la grande richiesta di carbone ha portato ad un impoverimento dei boschi e alla necessità pratica di sospendere il lavoro.
Il minerale scavato nelle miniere subiva un primo trattamento nei piccoli forni d'alta quota, poi veniva portato a valle, presso i forni fusori. Il principale forno di Gerola si trovava dove oggi sorge la centrale idroelettrica; i suoi resti sono scomparsi durante i lavori di costruzione. Un altro forno si trovava presso la località Costa, come risulta da un documento del Trecento.
I "mastri da forno" della Valgerola, come i loro vicini bresciani e bergamaschi, avevano raggiunto una notevole abilità tecnica, tanto che nel 1497 il duca Alfonso I d'Este ha chiamato il mastro gerolese Jacopo Tachetto a costruire per lui un forno per il ferro a Fornovolasco di Garfagnana, in provincia di Lucca.

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